I tendini sono costituiti da un tessuto connettivo estremamente resistente, costituito da cellule (tenociti) e da una matrice extracellulare in cui sono presenti proteine strutturali (collagene, elastina), proteine di supporto (fibrillina, fibronectina, laminina), proteoglicani (aggrecani e sindecani) e glucosaminoglicani. Essi costituiscono la struttura di connessione tra i muscoli e le ossa e sono lo snodo di trasmissione delle forze e degli attriti che le attività muscolari esercitano sull’apparato scheletrico.
Il collagene tendineo è prevalentemente costituito da collagene di tipo I ed in misura minore da quello di tipo III e V. Esso ha una organizzazione di tipo gerarchico in quanto la molecola di base, costituita da una tripla elica proteica (tropocollagene), si organizza dapprima in strutture chiamate fibrille che a loro volta si uniscono a formare le fibre collagene che rappresentano l’unità fondamentale del tendine. Le fibre di collagene si raggruppano progressivamente in fasci primari, secondari e terziari, orientati nella direzione della trazione ed avvolti ciascuno da tessuto connettivo reticolare chiamato endotenonio. Un gruppo di fasci terziari forma il tendine che è circondato da tessuto connettivo lasso denominato epitenonio all’interno del quale decorre la rete vascolo-linfatica e nervosa.
In un contesto di nutrigenomica applicata, il genoma di individui non correlati è altamente omologo con solo circa lo 0.1% di nucleotidi differenti all’interno della sequenza del DNA. Queste differenze o polimorfismi (SNPs) sono presenti nell’intero genoma umano e possono produrre differenti varianti o alleli nello stesso gene. Questi alleli possono, in alcuni casi, alterare l’espressione del gene stesso e/o la funzione della proteina codificata.
Le patologie a carico dei tendini costituiscono uno dei principali problemi di chi pratica attività sportiva, sia a livello agonistico che amatoriale. Oggi si preferisce definirle con il termine di tendinopatie e la loro insorgenza è strettamente legata a fattori di ordine sia esogeno o estrinseci, che di ordine endogeno o intrinseci. I primi sono fattori strettamente dipendenti dalle caratteristiche esterne ed ambientali. I secondi, al contrario, dipendono da caratteristiche individuali ben precise, quali la conformazione delle strutture anatomiche, la presenza di patologie sistemiche o di una vera e propria predisposizione genetica.
Molto spesso uno o più fattori esogeni ed endogeni coesistono, determinando in tal modo un quadro d’insorgenza di tipo multifattoriale. In generale nei traumi di tipo acuto predominano i fattori estrinseci, mentre nelle problematiche da “over-use” (sovra-utilizzo) si ritrova preferenzialmente una causa di tipo multifattoriale.
In particolare, sedute di allenamento eccessivamente intense, tempi di recupero insufficienti, inadeguato lavoro di riscaldamento e/o di stretching, possono essere causa, specie in soggetti geneticamente predisposti, di lesioni a carico dei tendini sia di tipo acuto che cronico.
La tendinopatia achillea è comune nei soggetti che praticano corsa, salto, calcio, pallavolo, tennis. La patologia del tendine estensore dell’avambraccio è particolarmente frequente nei giocatori di tennis, baseball e golf. La tendinopatia del rotuleo è spesso associata a sport “di salto” come il basket, la pallavolo, il tennis e il salto in alto, ma si riscontra anche nell’hockey su ghiaccio, nel calcio e nel sollevamento pesi. La tendinopatia della cuffia dei rotatori si verifica, invece, con particolare frequenza, negli sport di lancio come il baseball, il giavellotto e nella pallamano, oltre che nella pallavolo, nel tennis e nella ginnastica. Indistintamente tutte possono coinvolgere chi pratica body building, crossfit e sport a livello amatoriale.
Per quanto riguarda la predisposizione genetica alla tendinopatia, l’ipotesi della sua esistenza è stata avanzata sin dal passato, per le rotture e le tendinopatie dell’achilleo, ma studi più recenti ipotizzano la presenza di una componente genetica anche nelle tendinopatie e nelle rotture della cuffia dei rotatori e nelle lesioni del legamento crociato anteriore del ginocchio.
E’ stata quindi avanzata l’ipotesi di un ampio spettro di disordini funzionali a carico del tessuto connettivo attribuibili ad una componente genetica alla cui estremità da un lato troviamo le patologie monogeniche (un singolo gene mutato) quali l’osteogenesi imperfetta, la sindrome di Ehlers–Danlos e la sindrome di Marfan, mentre dall’altro lato, ritroviamo alcune condizioni di tipo multifattoriale, nelle quali l’insorgenza della patologia è determinata da interazioni di più geni (ognuno dei quali con limitata influenza), sia di tipo reciproco, gene-gene, che del tipo gene- ambiente. Da cui l’importanza di elaborazioni algoritmiche nell’interpretazione del puro dato genetico.
Gli studi di associazione genetica ed in particolare quelli di Genome Wide Association (GWAS), sviluppatesi nell’era post-genomica, sono oggi in grado di identificare molte di queste varianti geniche (SNPs = single nucleotide polymorphism) associate ad un rischio aumentato per le tendinopatie. Nell’ambito dell’ipotesi genetica del danno tendineo, i candidati “ideali” sono certamente i geni che codificano per le proteine strutturali della matrice extra-cellulare (collagene, elastina, fibrillina), quelli per il suo rimodellamento (metalloproteasi), quelli che codificano per i diversi fattori di crescita (BMP4, GDF5) o che sono coinvolti nei fenomeni di apoptosi (morte cellulare programmata). Altri riguardano il metabolismo della vitamina D (mutazioni a livello del gene espressore del suo recettore) e della catena respiratoria mitocondriale; altri ancora forniscono informazioni sulla tipologia di fibra muscolare e sulla migliore adattabilità verso un’attività di endurance (resistenza) piuttosto che di velocità o potenza. Assai utili anche quelle che forniscono dati sulle possibilità di recupero nel post-esercizio (over training, acido lattico, produzione/smaltimento di radicali liberi, etc).
Tornando alle tendinopatie, ciascuna singola variante (SNP) presente in questi geni può comportare un aumento o una diminuzione del rischio genetico, secondo un meccanismo di tipo additivo, il cui effetto finale corrisponde all’entità della predisposizione genetica alla tendinopatia. Quando queste varianti geniche vengono utilizzate, quali markers predittivi del danno tendineo, è necessario lo studio combinato di molte varianti, a causa del loro singolo effetto, e la definizione di un algoritmo matematico (Genetic Risk Score) in grado di poter distinguere, in funzione del genotipo, i soggetti predisposti da quelli non predisposti.
Il test deve, inoltre, possedere una buona sensibilità (capacità di individuare i veri soggetti predisposti) associata ad una discreta specificità (capacità di individuare i veri soggetti negativi) ed essere validato statisticamente mediante la costruzione delle cosiddette curve ROC (Receiver Operator Characteristic Curve) al fine di determinare il reale potere predittivo.
Ecco che pertanto la batteria di tests genetici predisposti da AMIA (Associazione Medici Italiani Anti-Aging) consente un’ampia gamma di possibili impieghi pratici, dalla individuazione del personale profilo di rischio alla individuazione della risposta all’attività aerobica o anaerobica, ad una vera e propria mappa delle idoneità alimentari.
Le varianti nucleotidiche individuate sono inserite in algoritmi matematici in grado di fornire il Genetic Risk Score, che restituisce la predisposizione genetica in esame in termini percentuali.
Nel contesto del test per le tendinopatie, un grafico a lancetta illustra la modalità grafica (molto intuitiva) con la quale viene indicato, nel referto, il rischio genetico del soggetto. Una volta che un soggetto a rischio (rischio maggiore del 50%) è stato individuato, è possibile, insieme all’equipe sanitaria sportiva, al coach o al personal trainer, predisporre particolari tipi di esercizi muscolari/allenamenti o meglio regolamentare la programmazione degli stessi, al fine di ridurre il rischio genetico e rendere meno probabile lo svilupparsi di una tendinopatia.
[Photo Credits Thermo Fisher Scientific]