«Le seconde occasioni si conquistano in base alle scelte che facciamo e a ciò che scegliamo di dimenticare.»
Dal film Altered Carbon
Siamo importanti perché abbiamo un ruolo, un’identità sociale, abbiamo un senso
Di contro, ci sono individui nel mondo che hanno un’importanza di una statistica. Sono numeri, oggetti dei notiziari, sono i figli di nessuno (vittime di guerra, di malattie etc.). Quelli che da un parte del mondo devono morire – un “dovere” nei confronti della società – affinché l’altra parte possa prosperare nell’eccesso. Lo smaltimento organico non è più un segreto.
Questo fa intendere, non solo che tutte le morti non sono uguali, ma che la parte organica dell’uomo sia quella più insignificante, dato che la “mente” – e tutto quello che essa riesce a produrre (e consumare) nella società – è divenuta il prodotto commerciale per eccellenza.
La nostra identità di ruolo
Dal medioevo alla filosofia taylorista le cose non son cambiate: siamo importanti solo all’interno di quel contenitore definito “identità di ruolo”, che agisce come una leva sui nostri bisogni e mancanze.
Periodicamente, nella storia dell’uomo, si avvicina quella percezione di smarrimento che ci rende impotenti.
Il lutto, la morte, la fine di ogni senso che mettono i riflettori sui nostri punti d’ombra: più alto è il significato di quel che facciamo e più sentiamo, in periodi come questi, i sospiri di un vuoto che sembra attraversare anche le fessure dell’imponente portone di casa, la stessa porta che ci fa accedere all’omeostasi, alla “nostra” base sicura.
Ma è successo, la zona di sicurezza è stata forzata
Apostoli scappati dall’ultima cena, trincee di flaconi di alcol all’ingresso delle abitazioni, cerbottane caricate con amuchina e… tante preghiere.
Non manca di certo lo j’accuse e chi sentenzia – con il Kurz di Contrad – The horror, the horror! Tutta colpa del paziente zero!
Strategie, pianificazioni, artifici comunicativi con un nuovo rapporto estetico: si parla alla comica distanza di due metri tracciando confini con lo sguardo e sempre pronti ad indietreggiare qualora il nemico avanzi, anche di pochi centimetri!
È indispensabile preservare la propria distanza di fuga
Nel disagio, le invenzioni leonardesche: fionde caricate con “pizzini”, cartoline (senza francobolli!), aeroplani di carta (costruiti con i guanti!): è tutto on line.
Influenze occulte, visioni mistiche, allucinazioni, impressioni inconsce prendono vita da un riflesso, la paura si nasconde nel tintinnio di alcune strutture anatomiche: uno starnuto?
Le persone hanno l’odore del virus!
Di un virus decentrato emozionalmente e che può toccare qualsiasi persona svuotandola di senso!
È la pathetic fallacy (attribuzione dei sentimenti umani e delle risposte alle cose o agli animali, specialmente nell’arte e nella letteratura, N.d.R.) e, alla stregua di Safety last, ci si aggrappa disperatamente alle lancette di un orologio, sospesi nel vuoto.
Ma tutto andrà bene, come sostiene qualcuno
E pensare che, prima di adesso, molti di noi si preoccupavano del germe sconosciuto occultato nel cane, un possibile veicolo di morte: l’animale-untore, l’animale-ponte, l’animale-serbatoio del virus. Qualora le sue zampe sfiorassero i piedi del letto e la postura pronta per il salto, l’uomo, prontamente, con atteggiamento deciso e autoritario, spezzava questo schema motorio chiamando in causa vaporetto: a cento gradi ogni pensiero cattivo viene sterilizzato.
Tuttavia alcuni pensieri non possono essere purificati, decontaminati o soppressi, bensì solo canalizzati. Non possono neanche nascondersi, la pulsione li segue e il comportamento li denuncia sotto forma di ossessione.
Il consumismo e la routine li tengono a bada, ma, quando questi vengono meno, il pensiero si desta e acquisisce un potere perverso che prende vita, ad esempio, con le leggi del “manifesto della razza”: neri, gialli, ebrei, slavi, prostitute nel centro delle nostre convinzioni dell’imbastardimento etnico, e anche qui è la paura di qualche patogeno nascosto nelle loro membra che può essere “traghettato” nella nostra dimensione.
Questo non riguarda solo i periodi di quiete e di sicurezza
Lo stesso schema (appreso) è stato utilizzato nel contesto pandemico: insulti, sputi, epiteti dispregiativi contro i cinesi fino a portare la morte di un anziano per infarto con la gente tutt’attorno paralizzata per la paura di essere contagiata.
Non mancano fazioni interne, con meridionali che discriminano i settentrionali in una sorta di rivincita a “chi ce l’ha più grosso” (l’ego). È la stessa forma di pensiero che emerge dalla storia, come quella che ha spinto prima i Guelfi a combattere i Ghibellini e poi a creare due parti contrapposte al loro interno (Guelfi bianchi e Guelfi neri) per continuare questa “necessità di pensiero”.
Morpheus è il razzismo, la distanza, l’odio, il disinfettante e la mascherina di ogni buon senso?
Mediocri! Recita il titolo del libro di Antonello Caporale.
Prima di adesso, l’umanità – intendo, la “nostra” umanità – era appesa alle lancette di un orologio
Eppure presenziavamo, come gente che deve occupare il tempo (come se ce ne fosse abbastanza), i comizi di chi incitava viralmente “È vero! È vero!”, coniugando in maniera sgraziata questioni etiche e morali: l’«imperativo bioetico» era volto all’imperfetto.
Abbiamo insistito, sbagliato e perseverato. Siamo diventati diabolici.
Cercavamo a tutti i costi la volgarità, e cosa abbiamo trovato? Un passe-partout definito con numeri e freddi acronimi da laboratorio: Sars-coV-2.
Un virus che, dalla superficie della razionalità, ci ha spinto in questioni più profonde: l’istinto di sopravvivenza si traduce nel luogo della presenza primitiva in cui vive l’essenziale. Abbiamo accesso ai nostri “punti d’ombra”.
Ma noi, come piccoli “principi” del potere assoluto, rinneghiamo l’evidenza: i rapporti umani sono invisibili e, dunque, possono essere oltraggiati, violati, offesi e calpestati.
Quanto uccide la violenza relazionale dell’uomo rispetto a quella fisica provocata da un filamento di RNA?
Sempre la storia ci insegna che gli eccessi in natura hanno delle scadenze, ma con gli abiti dell’indecenza abbiamo costruito dei brands: «Il bastone e la carota», «Il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto» o, se volessimo metterla sotto un profilo cristiano, sembra che Dio stia suonando il registro dell’umiltà con aplomb: il Coronavirus ha le spine della nostra arroganza, è «La nostra croce» o la nostra vittima?
Abbiamo psicoanalizzato il virus con l’intellettualizzazione, la repressione e banalizzazione, tentando in ogni modo di dislocarlo e rimuoverlo dalla nostra esistenza.
L’abbiamo inseguito inizialmente con quella serietà che accompagna i “cacciatori di taglie” per poi, subito dopo, ridicolizzarlo con un sorrisino: “In fondo è solo un’influenza” – e gli anziani, come scudo delle nostre insicurezze, gettati nel rogo delle freddi statistiche: “Colpisce solo i più vecchi”.
Così, il bastone è andato smarrito, il bicchiere in frantumi e le preghiere non sembrano sortire effetto
Iniziano a morire anche i giovani e la freddezza delle statistiche gela ogni speranza. Niente derisioni, niente assenzi, basta con microrganismi vittime delle nostre interpretazioni. È l’apocalisse?
Quando arriva un virus – con l’onda di cortisolo – è lo stress, il cui simbolo è lo spremiagrumi di Juicy Salif, se ne ricava il succo dell’interiorità in un crogiol, sicché la sintesi è Quelli del colera (un’opera di Giovanni Verga):
«Ciascuno badava ai casi propri…».
L’egoismo è la base della sopravvivenza, come la relazione. Due concetti opposti che emergono dall’incertezza e dal disagio.
Anche il virus instaura una relazione e confessa l’egoismo: più infetta persone, più si trasforma nel tempo. Una reazione di difesa dai sistemi immunitari umani che lo vogliono uccidere.
Il virus, come noi, non vuole morire
Come noi ha appreso ad “amare se stesso” e non “amare gli altri come se stesso”.
Il virus apprende degli schemi dalle nostre esperienze difensive: è il concetto di «mutazione genetica».
L’anticorpo è il nemico, il razzista, il guelfo, l’italiano e il meridionale coinvolto in una lotta interiore contro l’invasore.
La mutazione è una parabola, non come “luogo” geometrico, ma puntando con un dito la sua origine e seguendone la variazione impetuosa, ci porta dall’altro lato in cui inizia una nuova dimensione separata da un intenso tragitto: il vertice culturale.
Così, momenti della storia dell’uomo possono tradursi in momenti della storia dell’algebra. Abbiamo fatto male i conti? In quale dimensione abbiamo vissuto?
Statistiche, resoconti, realtà virtuale a contorno di una tracciabilità onnipresente, una mutazione culturale definita con progresso e sviluppo, inizialmente sinonimi ma che, nel tempo, come due forbici che si allargano, hanno seguito direzioni opposte: il progresso, sotto alcuni aspetti, ci ha sottosviluppato.
La minaccia di un microrganismo ha toccato il senso conosciuto all’interno
Di questa parabola, una giostra costruita su rituali e abitudini che sono in grado di anestetizzare le nostre pulsioni che, se non ben canalizzate, s’infiammano. Lavorare, sudare, guadagnare, spendere e goderci qualche episodio di relax: il palpitare del litorale e il luccichio del mare interrotti solo dallo sferragliare di un treno a mezzanotte!
Faccende routinarie che sembrano siano divenute delle «Fantasticherie del passeggiatore solitario» (un’opera INCOMPIUTA di Jean-Jacques Rousseau): “Io resto a casa”.
Siamo stati detronizzati: è il Coronavirus.
Come finirà?
In copertina: opera del pittore Vito Giarrizzo, “Antiorario Involuzione”