Osteoporosi, non solo calcio: i microelementi nel metabolismo osseo
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato che il sovraccarico di ferro, ma anche la sua carenza, possono essere causa di osteoporosi, evidenziando che un’omeostasi ossea bilanciata richiede livelli ottimali di questo componente, né troppo alti, né troppo bassi.
Il ferro, infatti, è un elemento molto particolare nell’equilibrio del costante rimodellamento osseo essendo capace di produrre effetti sia positivi che negativi. Ha quindi una doppia faccia come il Giano bifronte della mitologia. Per il mantenimento dell’integrità scheletrica, la sequenza riassorbimenti/ricostruzione, tipica di un corretto metabolismo, deve essere strettamente regolata e orchestrata.
Il sovraccarico di ferro e la carenza di ferro interrompono il delicato equilibrio tra distruzione e produzione ossea, influenzando la differenziazione sia degli osteoclasti che degli osteoblasti.
Una delicata questione di equilibri
Da un punto di vista clinico l’effetto negativo del sovraccarico di ferro sul metabolismo osseo è suggerito dal fatto che i pazienti con emocromatosi, talassemia e anemia falciforme hanno una densità minerale ossea inferiore rispetto alla popolazione generale, con numerosi casi conclamati di osteoporosi.
Altre malattie con diversa eziologia o condizioni parafisiologiche, come le emoglobinopatie, e la menopausa, possono portare ad un accumulo cronico di ferro.
In molti studi clinici è stato rilevato che la fragilità ossea, caratterizzata da una ridotta massa ossea, e quindi osteopenia ed osteoporosi, ma anche la microarchitettura e la biomeccanica, sono alterate rappresentando caratteristiche comuni di queste condizioni di sovraccarico di ferro; dati peraltro confermati anche sperimentalmente, in vivo, in laboratorio.
Ferro potente catalizzatore
A causa della sua capacità di partecipare alle reazioni redox, il ferro è un potente catalizzatore per la formazione di radicali idrossilici da forme ridotte di O2.
Pertanto, al fine di evitare tali effetti tossici, il ferro è di solito complessato con proteine e con esse si presenta sia nel siero, dove è principalmente associato alla transferrina, sia immagazzinato nel compartimento intracellulare dove è veicolato da chaperoni, molecole con funzione di ristrutturazione proteica, o immagazzinato dalla ferritina.
La tossicità da sovraccarico di ferro è mediata dal danno cellulare innescato dalla ferroptosi attraverso la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) attraverso la reazione di Fenton.
Che cos’è la ferroptosi?
La sequenza che porta alla morte cellulare attraverso la ferroptosi è stata proposta per la prima volta da Dixon come nuovo tipo di morte cellulare nel 2012.
A differenza dell’autofagia e dell’apoptosi, la ferroptosi è, infatti, una morte cellulare correlata alle specie reattive dell’ossigeno ferro-dipendenti (ROS) ed è caratterizzata principalmente da alterazioni citologiche, tra cui creste mitocondriali che sono diminuite o scomparse, da una membrana mitocondriale esterna rotta o comunque danneggiata.
Queste anomalie cellulari derivano dalla perdita di permeabilità selettiva della membrana plasmatica dovuta all’intensa perossidazione lipidica della stessa conseguente al verificarsi di stress ossidativo. A questo proposito, alcuni studi hanno mostrato che il ferro redox-attivo (cioè il ferro non legato alla transferrina) è la principale fonte di radicali e di specie organiche reattive che sono fortemente correlate al danno ossidativo.
I ROS responsaili del danno allo scheletro
È infatti attraverso l’azione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) che, bloccando la maturazione degli osteoblasti ed incrementando al contrario quella degli osteoclasti dei quali, inoltre, allungano il periodo di vita cellulare, azioni dimostrate sin dal 2010 dal gruppo di Manolagas e confermate sempre più diffusamente nel corso degli anni successivi, si determina questo squilibro nel metabolismo osseo che porta ad un decremento quali-quantitativo del tessuto scheletrico.
Anche una carenza di ferro è dannosa per la buona salute del nostro tessuto osseo
Infatti il ferro entra, come componente fondamentale, in numerosi enzimi. Tra di essi di particolare rilievo le idrossilasi.
Il citocromo P2R1 noto anche come 25 idrossilasi, che rappresenta il primo fondamentale passaggio nell’attivazione della vitamina D a livello epatico, così come l’1α idrossilasi che ne completa l’attivazione a livello renale, necessitano del ferro per poter funzionare, trasformando una molecola liposolubile (il colecalciferolo) in una idrosolubile, il calcifediolo o 1,25 idrossi vitamina D, che ne rappresenta la forma attiva.
Le funzioni della vitamina D, ormai elevata al rango di ormone, esulano da questa narrazione, ma in generale sono a tutti, almeno in parte, ben note.
Ferro necessario anche per la formazione del collagene
Un’altra idrossilasi, sempre Fe-dipendente per la propria funzione, è la prolil-idrossilasi, un enzima che catalizza l’incorporazione di un gruppo OH (appunto idrossilazone) nella prolina trasformandola nell’idrossiprolina.
Questo aminoacido, che non fa parte dei 20 aminoacidi ordinari, è fondamentale per la corretta formazione e resistenza del collagene, di cui ne costituisce circa il 14%.
L’idrossiprolina, infatti, forma dei ponti idrogeno con l’idrossilisina stabilizzando le catene del collagene rendendole, tra l’altro, stabili alla temperatura corporea, aumentandone la temperatura di fusione dai 16° del collagene non idrolizzato a quella di un normale organismo umano.
Una sua carenza interviene anche nell’ipossia
Poco valutata, ma non per questo di minore importanza, nell’equilibro del metabolismo osseo è l’ipossia microambientale, cioè una tensione di ossigeno inferiore alla norma nello spazio intercellulare. Una ipossia tissutale, come può avvenire nei soggetti con carenza di ferro, rende stabile il Hypoxia-inducible factor 1-alpha, fattore di trascrizione presente all’interno degli osteoclasti incrementandone sia la maturazione che la durata di vita cellulare.
Quali sono le terapie per sopperire alle situazioni sia di deficit sia di sovraccarico?
La terapia della carenza di ferro è ben conosciuta ai più e si avvale di correttivi sia per via alimentare che nutraceutica che farmacologica.
Ben più complessa è, invece, la terapia dell’Iron overload. Il sovraccarico di ferro può essere contrastato con elementi chelanti, che rappresentano la prima scelta nei casi di maggior impegno.
L’uso di nutraceutici, invece, è poco conosciuto anche se diverse ricerche e pubblicazioni, basate su dati di laboratorio e sperimentazioni in vivo, ne hanno documentato l’efficacia, sia in associazione con agenti chelanti sia singolarmente nel prevenire le alterazioni quali-quantitative delle ossa.
Questi nutraceutici potrebbero essere, tra l’altro, utilizzati nei casi meno impegnativi e subclinici di sovraccarico di ferro, che, comunque, nel tempo potrebbero portare ad una alterazione del metabolismo osseo e quindi ad osteopenia ed osteoporosi. Tra essi, ad esempio, è stata ben documentata l’efficacia per l’acido alfalipoico e per l’icariin, questo purtroppo non di libera vendita in Italia.
Concludendo
Come già detto inizialmente il ferro è quindi un elemento fondamentale per la nostra vita, ma deve essere mantenuto in un corretto equilibrio.
Il ferro nel sangue può essere valutato esaminando tre parametri diversi:
1 – la ferritina che è una proteina che contiene ferro, prevalentemente presente in fegato, muscoli e midollo osseo, ed è responsabile dell’immagazzinamento del ferro.
2 – l ferro, tuttavia, non circola liberamente nel sangue, ma è sempre legato alla sua proteina di trasporto, la transferrina che lo veicola alle cellule responsabili dell’eritropoiesi, ovvero la sintesi dei globuli rossi;
3 – la sideremia, infine, indica la quantità di ferro legata alla transferrina.
Questi i valori orientativi (che possono modificarsi in base alle metodiche analitiche dei vari laboratori):
1 – il ferro (o ferritina) si misura in mcg/l (microgrammi per litro) con valori di 24–330 mcg/l negli uomini e di 11–300 mcg/l nelle Donne;
2 – la transferrina si misura in Mg/dl (Milligrammi per decilitro) con valori di 215–366 mg/dl negli uomini e di 250–380 mg/dl nelle donne;
3 – la sideremia si misura in Mcg/dl (Microgrammi per decilitro) con valori di 65–176 mcg/dl negli uomini e di 50–170 mcg/dl nelle Donne.