Melissa officinalis e Ivermectina

In questo articolo verrà posta l’attenzione su un farmaco discusso molto nelle cronache del momento, l’Ivermectina, ponendolo a confronto con un suo potenzialmente omologo naturale, la Melissa officinalis: è possibile che la natura ci aiuti nel supporto contro il Covid 19?

Ivermectina e Melissa officinalis: conosciamole meglio

Dopo la sua scoperta nel 1975, la molecola dell’Ivermectina, è stata approvata come trattamento per le infezioni parassitarie negli animali e, successivamente, per uso umano per il trattamento dell’oncocercosi, anche nota come “cecità fluviale” infezione causata dalla puntura delle mosche nere nei pressi dei fiumi. Da allora è entrata in uso come cura di una serie di infestazioni da nematodi umani che provocano oltre a cecità fluviale, anche filariosi, ascariasi e strongiloidiasi, nonché pediculosi e scabbia, causate da ectoparassiti, e pure per la rosacea. In ragione della sua importanza nel trattamento di queste infezioni, l’Ivermectina rientra nell’elenco dei farmaci essenziali dell’OMS, con milioni di dosi prescritte in tutto il mondo ogni anno.

L’Ivermectina e il contrasto alla SARS-CoV-2

Tra le strategie per contrastare il SARS-CoV-2, negli ultimi mesi, è stata presa in considerazione l’attività antivirale dell’Ivermectina, molecola nota come antiparassitario in uso nella cura di alcune malattie tropicali. Si tratta di un derivato dell’Avermectina, sostanza prodotta dal batterio Streptomyces avermitilis e individuata alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso da due scienziati, Satoshi Omura e William C. Campbell, i quali nel 2015 sono stato insigniti del Premio Nobel per la Medicina “per le loro scoperte riguardanti una nuova terapia contro le infezioni causate da parassiti intestinali”.

A partire dal 2012, ne sono state progressivamente documentate anche le proprietà antivirali nei confronti di una serie di virus a RNA, tra cui l’HIV-1, il virus dell’influenza, i Flavivirus come dengue e Zika, così come verso virus a DNA quali Pseudorabies, Polyomavirus e Adenovirus. L’attività antivirale dell’Ivermectina si basa sulla sua capacità di agire come inibitore specifico dell’importazione nucleare mediata dalla importina α/β sopprimendo la replicazione virale di molti virus.

Alla luce di questi dati pregressi, diversi gruppi di ricerca hanno esaminato l’attività antivirale dell’Ivermectina nei confronti del SARS-CoV-2 sia in vitro che in trials clinici. I risultati di 18 studi, effettuati in Spagna, Argentina, Egitto, Iran, India, Bangladesh, Nigeria, Pakistan, Turchia, Argentina e Iraq, e analizzati nella metanalisi di Andrew Hill del Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Liverpool, mostrano una più rapida eliminazione del virus, una riduzione della degenza ospedaliera, un tasso di recupero clinico superiore al 43% e tassi di sopravvivenza superiori all’83%. Inoltre, nei gruppi trattati si sono osservati minori livelli di infiammazione. Pertanto, Hill conclude il trattamento con Ivermectina “potrebbe aiutare a ridurre i tassi di infezione rendendo le persone meno contagiose e potrebbe ridurre i tassi di mortalità trattando l’infezione virale”.

L’efficacia antivirale della Melissa officinalis nei confronti del SARS-CoV-2

Partendo dall’azione immunostimolante e antivirale della Melissa, ben nota sia nella tradizione che attraverso studi clinici, la ricerca odierna mira a riconoscere i composti antivirali presenti nel suo fitocomplesso in grado di agire contro la proteasi principale o Mpro (main protease) e la proteina Spike del SARS-CoV-2, per ottenere informazioni sulle interazioni molecolari. In particolare, la Mpro del SARS-CoV-2 svolge un ruolo centrale nella sua patogenesi e quindi è considerata un bersaglio farmacologico attraente per la progettazione di farmaci e lo sviluppo di inibitori. Attraverso metodiche computazionali (protein docking) per lo studio delle interazioni fra un generico ligando e una biomacromolecola bersaglio (Mpro e proteina Spike), sono state prese in esame dodici molecole presenti nel fitocomplesso di Melissa officinalis.

Di questi dodici fitochimici, tre hanno mostrato una migliore affinità di legame e stabilità con i bersagli Mpro e Spike del SARS-CoV-2: Luteolin-7-glucoside-3′-glucuronide, Acido Mellitrico A e Quadranoside-III.

Dalla natura i meccanismi di difesa

Queste risultanze trovano ulteriore conferma mettendo a confronto la Melissa officinalis con Ivermectina e Lopinavir, molecola antiretrovirale appartenente alla classe degli inibitori delle proteasi e utilizzato insieme ad altri farmaci nel trattamento dell’infezione da HIV-1. L’Acido Mellitrico A e l’Acido Salvanolico A, altro componente del fitocomplesso di Melissa, mostrano infatti maggiore affinità nei confronti dell’Mpro rispetto sia all’Ivermectina che al Lopinavir.

Nel fitocomplesso della pianta… l’efficacia!

A dimostrazione che la natura, in questo caso la Melissa officinalis mette a disposizione importanti risorse che non rappresentano altro che i meccanismi di difesa sviluppati dalle piante nel corso dell’evoluzione per potersi proteggere dalle aggressioni dell’ambiente.
Si tratta infatti dei cosiddetti “metaboliti secondari”, ovvero molecole ad azione antiossidante, antibatterica, antifungina e antivirale, che ritroviamo nel fitocomplesso della pianta come nel caso della Melissa officinalis, e che con vari meccanismi molecolari contribuiscono all’efficacia complessiva desiderata.

 

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