La sovralimentazione tra causa e sintomo
Ci sono mancanze che vivono nelle menti come virus o parassiti con il bisogno e la necessità di diffondersi e moltiplicarsi anche al di fuori del corpo che li ospita.
Per una storia “universale” siamo abituati a intercettare le cause di un determinato evento o comportamento all’interno della persona che abbiamo di fronte, come se causa e sintomo abitassero lo stesso e unico luogo, mentale o corporeo che sia.
Quasi sempre questa logica, a fronte di un fallimento, ci conduce alla motivazione dell’individuo, bloccando alla nascita il predominio della narrazione dei fatti del passato che la persona, seppur timidamente, tenta, tra un dato calorico e l’altro, di riferirci.
Le semplificazioni (sovralimentazione = inclinazione personale a mangiare continuamente e qualsiasi cosa) non sono sempre deleterie, ma non possono e non devono seguire solo l’attributo motivazionale.
Un caso molto frequente quando si parla di sovrappeso e obesità è dato dalla sovralimentazione (sintomo) legata al trauma (causa).
Quale strada scegliere?
Alcuni professionisti hanno le idee molto chiare sulla percentuale di fallimenti a cui vanno incontro affrontando casi specifici.
In alcune circostanze può trattarsi di un rapporto empatico mancato tra cliente e professionista. In altre dalla rilevazione poco efficace delle variabili che interessano specificamente il soggetto su cui intervenire.
Altre ancora, certamente, su condizioni che interessano il proprio cliente (tempo, motivazione, pressioni ambientali, stress, ecc.). Occorre tener presente che alcuni soggetti necessitano di un approccio largamente multidisciplinare e la bravura di un professionista si rivela proprio nella competenza di suggerire quale percorso intraprendere (psicologico, biologico, psichiatrico, ecc.) in modo da limitare il numero di fallimenti a cui possono andare incontro.
Come riferito in altri articoli, tali fallimenti, si potrebbe sostenere, che sono di natura “cumulativa”:
+ fallimenti = + probabilità di evitare in futuro qualsiasi dieta proposta
Storia di un caso
Qualche anno fa, mi chiese consulenza una donna che perse i genitori in giovanissima età. Episodi, questi, che certamente segnano la propria vita.
In alcuni casi può capitare che gli effetti di questi accadimenti non si limitino al vissuto di chi li subisce, ma possono comportarsi come strane “malattie epigenetiche”, trasmissibili da una generazione all’altra, capaci di colpire l’interiorità di un genitore e il corpo del figlio.
Mi spiego meglio.
Quello che ho potuto notare nel tempo – e che provo azzardatamente a riportare in questo articolo – riguarda il corpo dei bambini come specchio, come riflesso interiore, del genitore: la deformità del corpo del figlio/a frutto della proiezione delle mancanze interiori della madre o del padre, o di entrambi i genitori.
Il corpo del figlio può rispecchiare le mancanze del genitore
I paradossi possono presentarsi, come in questo caso trattato, nella presenza di una madre magra e una figlia in sovrappeso con forte propensione al grasso localizzato.
I suoi contorni dilatati, soprattutto in alcune zone del corpo, riferivano la ricerca di piacere sotto forma di conforto e protezione che la madre “traghettava” costantemente nella figlia, vezzeggiandola e viziandola, acconsentendo senza alcun divieto o limitazione a cibi molto calorici che questi le richiedeva puntualmente ad ogni pasto.
Il risultato è che i forti sapori di cibi dolci e salati, nel tempo, si sostituirono completamente a un’alimentazione equilibrata composta anche da sapori meno intensi o leggermente amari, ma decisamente più salutari, come frutta e verdura.
Il corpo abbondante del figlio usato per “riempire il vuoto”
A contatto con questi, infatti, la bambina esibiva il suo deciso rifiuto. Per la madre l’abbondante corporeità della figlia era una rivalsa, un modo per occludere la voragine formatasi parecchi anni prima in seguito al trauma subito: dall’evidente vuoto all’evidente compiutezza. Dalla mancanza all’abbondanza. Dalla figura genitoriale costantemente assente, ad una costantemente presente che serviva da tappo, da occlusione: la figlia.
Dalla inconsistenza del simbolo del segno d’amore (quello genitoriale che ha colpito la madre) alla persistente esistenza dell’oggetto d’amore (la sovralimentazione che ha colpito la figlia), come se il senso di vuoto inter-generazionalmente trasmesso reclamasse un riempimento.
Identificazione della vera causa
A livello personale, la madre (normopeso) poteva compensare con comportamenti che non erano legati necessariamente all’aspetto alimentare (ad esempio ricercando relazioni amorose impossibili o multiple nel momento in cui l’accudimento coniugale veniva meno o non bastava a far fronte alla sua instabilità), ma gli effetti di questa trasmissione, portata in grembo, si presentavano non nel corpo della madre, ma in quello della fanciulla.
In questi casi il sintomo sarebbe stato l’aumento ponderale della figlia provocato dai vuoti della madre. Questa era la causa che dovevamo affrontare per permettere alla bambina di raggiungere un peso corporeo normale.
Bibliografia
La storia menzionata in questo articolo è tratta dal libro «La scienza del dimagrimento», Kimerik, 2015, di Claudio Lombardo.