Negli ultimi anni si è assistito ad una cospicua diffusione della prescrizione di una classe di farmaci eufemisticamente definita dei “gastroprotettori”, più scientificamente indicati con il nome di IPP (o PPI): inibitori di pompa protonica (proton pump inhibitors). I nomi dei principi attivi finiscono tutti in -zolo (omeprazolo, pantoprazolo, lansoprazolo, esomeprazolo), commercialmente noti come Pantorc, Lucen, Nexium, Lansox, ecc. Sono in assoluto tra i farmaci più venduti al mondo. Forse è meglio conoscerli più a fondo.
Il compito di questi farmaci è quello di bloccare il naturale meccanismo di acidificazione dello stomaco (svolto, appunto, dalla pompa protonica presente nelle cellule gastriche, che riversano acido cloridrico nello stomaco) inibendo questa specifica categoria di cellule. Il risultato è che lo stomaco smette di diventare acido, passando dal pH che madre natura ha previsto per lui durante la digestione (anche 1,5-2) a un pH pressoché neutro (7). Per questo motivo tali farmaci vengono prescritti a chi soffra di ernia iatale o di reflusso gastroesofageo (uno sbocco di succhi gastrici nell’esofago), a chi assuma FANS (aspirina, nimesulide) o cortisonici (rischio ulcera), a chi abbia gastrite, a chi sia risultato positivo al test dell’Helycobacter pylori, a chi abbia un abbassamento di voce verosimilmente dovuto ad irritazione di corde vocali da vapori acidi gastrici. E chissà a quanti altri.
Ma come abbiamo fatto ad accettare che un farmaco, la cui azione è quella di bloccare le cellule dello stomaco, possa venire colloquialmente chiamato “gastroprotettore”?
Non è mai venuto a qualcuno il dubbio che se quelle cellule sono lì e hanno una specifica funzione, madre natura le avrà messe per qualche motivo?
Gli effetti collaterali sgraditi di questi composti chimici sono diversi, e vanno dall’induzione di carenza di vitamina B12 fino alla poliposi intestinale (stimolata dalla maggior secrezione di gastrina con cui il corpo cerca di rispondere al blocco farmacologico), ma il problema maggiore derivante dall’uso di questa classe di farmaci è la risposta allergico-infiammatoria conseguente alla loro potente azione di alterazione del transito intestinale. Un pH neutro nello stomaco impedisce infatti la naturale sterilizzazione dei cibi che ingeriamo. Il che significa in poche parole che batteri e virus che normalmente venivano uccisi dal pH acido dello stomaco, sotto farmaco passano tranquillamente nell’intestino provocando una reazione infiammatoria e allergica molto intensa. Invece di essere uccisi dal pH gastrico, infatti, batteri e virus arrivano nel duodeno dove vengono attaccati (fortunatamente) dal nostro sistema immunitario, che scatena loro contro linfociti, anticorpi, macrofagi, eosinofili, radicali liberi, e tutto l’armamentario da combattimento di cui il nostro intestino è dotato. Questa battaglia, tuttavia, genera una forte situazione infiammatoria locale, poi generale.
Anche la digestione viene fortemente rallentata dai “gastroprotettori”. Alcuni enzimi gastrici, infatti (come per esempio il pepsinogeno) hanno bisogno dell’ambiente acido digestivo per attivarsi (e, nel caso del pepsinogeno, diventare pepsina). Con il farmaco la pepsina non si forma e molte proteine rimangono non smontate, con due effetti negativi. Il primo è che la digestione sarà prolungata, perché richiederà un maggior lavoro delle proteasi pancreatiche (e tutti sappiamo con quale difficoltà si faccia sport con il cibo ancora sullo stomaco). Il secondo è ancora legato alla presenza di proteine intatte nell’intestino, che possono ancora portare con sé il segnale di “allarme immunitario” legato alla pianta o all’animale di origine. Tanto che il sistema immunitario intestinale (il cosiddetto GALT: gastrointestinal associated lymphoid tissue) può scatenare una risposta difensiva esagerata che può implicare radicali liberi, gonfiore ed anche un’esacerbazione delle risposte allergiche eventualmente in atto.
Prima di assumere un qualsiasi farmaco è insomma sempre indispensabile confrontarsi con un medico preparato. Incominciamo a renderci conto, intanto, che i farmaci la maggior parte delle volte sopprimono soltanto un sintomo, senza assolutamente “guarire” la patologia in essere. Secondariamente usiamo un principio generale di prudenza nell’assunzione di qualunque sostanza chimica in grado di interferire col nostro organismo, ancora di più se, come in questo caso, blocca la funzione di cellule che madre natura ha posto nello stomaco con un preciso significato: sterilizzare il cibo che mangiamo e attivare importanti enzimi a livello gastrico. Ignorare queste conseguenze non giova al paziente, ma – lasciatemelo dire – neppure all’immagine del medico che prescriva tali farmaci con leggerezza.
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