Fisiologia Muscolare Nel Detraining

Una delle caratteristiche essenziali e, a mio parere, di più vasto interesse nella natura del muscolo scheletrico è la sua dinamicità. Esso possiede una notevole malleabilità che trova la propria realizzazione nella capacità reversibile di cambiare le proprie caratteristiche funzionali, nonché la propria composizione strutturale, in risposta ad esigenze funzionali generiche e segnali di tipo ormonale o neuromuscolare.

Se stiamo impostando un allenamento di qualsivoglia genere, in pratica stiamo semplicemente causando tutta una serie di stress fisiologici che portano ad adattamenti specifici al fine di accrescere l’abilità del soggetto nel sopportare i fattori stressanti che emergono dall’esercizio stesso.

L’aumento del diametro trasverso del muscolo, la capacità di reclutamento di un maggior numero di fibre, la migliorata efficienza dei sistemi di smaltimento del lattato e tutte le modificazioni più facilmente osservabili nella morfologia dell’organo in questione sono esempi pratici.

Inerente al concetto dell’adeguamento all’allenamento è il principio dell’allenamento della reversibilità (detraining o deallenamento), poiché lo stop dell’attività fisica o una riduzione di quest’ultima porta a un parziale o completo capovolgimento degli adattamenti indotti dallo sport, compromettendo non solo le performance atletiche, ma lo sviluppo e il mantenimento stesso delle funzioni metaboliche ottimali.

Ovviamente non fa alcuna eccezione il sistema muscolare. In virtù della sua funzione di parte attiva dell’apparato locomotore, esso si riadatta alla riduzione/cessazione dell’attività con manifestazioni molto più complesse e svantaggiose per la salute di quelle più evidenti ad occhio nudo.

La letteratura scientifica ha evidenziato fino ad oggi i seguenti adattamenti:

1) abbassamento della densità dei capillari (negli atleti avviene entro le 2-3 settimane di cessazione dell’attività fisica);

2) differenza artero-venosa (a sfavore dell’ossigenazione tissutale, avviene dopo almeno 55 settimane mentre si attribuisce a una diminuzione del volume sistolico l’iniziale perdita di VO2max);

3) rapidi e progressivi cali nelle attività enzimatiche ossidative con conseguente riduzione di ATP mitocondriale che assieme al punto precedente sono direttamente collegabili alla riduzione di VO2max sul lungo termine (calano drasticamente l’attività citrato-sintetasica, la succinato deidrogenasi, la beta idrossiacil deidrogenasi e la malato deidrogenasi, fino al 40% in 56 giorni. La lipoproteina lipasi cala fino a un 75% in sole due settimane suggerendo una tendenza all’accumulo di lipidi circolanti. Notevole rimane la differenza tra fibre ST (slow twitch) e FT (fast twitch), le attività enzimatiche glicolitiche infatti mostrano cambiamenti non sistematici, mantenendo una dignitosa invariabilità in particolare della fosforilasi anche nell’arco di alcuni mesi);

4) riduzione della proporzione delle fibre ST in atleti di resistenza con conversione di fibre FTa in FTb entro le 8 settimane di inattività. Al contrario aumento del numero di fibre ossidative negli atleti di forza nel medesimo periodo;

5) declino generale nell’area trasversale della fibra muscolare per atleti o neofiti di sport di forza/sprint, mentre l’area della fibra aumenta leggermente negli atleti di resistenza;

6) l’EMG evidenzia una leggera diminuzione di forza entro le 4 settimane di inattività, ma la forza eccentrica degli atleti ben allenati e la potenza specifica diminuiscono significativamente. Lo stesso dicasi per la forza isocinetica recentemente acquisita.

L’aspetto più importante che emerge dai dati raccolti in letteratura è una generale tendenza dei sedentari (vengono considerati tali gli individui che si allenano a intermittenza e senza continuità) a un “ritorno alle origini”, concetto che per i soggetti atletici non si applica allo stesso modo, in quanto il loro metabolismo resta notevolmente più efficiente anche nelle fasi di stop assoluto e senza considerare l’estrema facilità nella ripresa dell’attività dovuta ad una sedimentazione dei patterns motori; in altre parole è la scienza stessa a suggerirci come il nostro corpo abbia una vera e propria memoria metabolica, termine talvolta contestato in quanto non inerente alla memoria dichiarativa che risiede nella corteccia e di ben altra natura rispetto a quella procedurale che risiede invece nei gangli della base, ma senz’altro esplicativo e in accordo col principio che vede il corpo come un sistema del quale non possiamo ignorare alcuna parte.

Essendo i dati raccolti in riferimento a individui adulti di giovane età, per una trattazione esaustiva nei prossimi articoli analizzerò gli effetti dell’età e del genere sull’allenamento di potenza e il decondizionamento e in chiusura l’opportunità di un allenamento di forza in età infantile.

 

Per scrivere al Dr. Gianmaria Zazzaroni gmzazzaroni@gmail.com

 

[Photo Credits in copertina Naturally Intense High Intensity Training,  inran.it, xsjjys.com, menshealthmag from instagram]

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