Le donne che praticano attività fisica con continuità aumentano, nonostante permanga il gap di genere: secondo il CONI, nel 2016, la differenza maggiore è stata del 22.9% nella fascia d’età tra i 18 e i 19 anni (Centro Studi CONI, 2017).
Il ciclo mestruale è senza dubbio uno dei processi che più differenziano la fisiologia della donna da quella dell’uomo: non testimonia solo la corretta funzionalità del sistema riproduttivo, ma spesso viene visto come indice dello stato di salute della donna.
Il suo controllo è regolato da un complesso apparato neuro-endocrino che coinvolge oltre all’ovaio anche sistema nervoso centrale, ipotalamo e adenoipofisi. Combinare il calendario del ciclo mestruale con quello degli allenamenti o delle competizioni è uno dei problemi che ogni mese assillano l’atleta donna.
I volumi d’allenamento, le richieste estetiche sport-specifiche e lo stress psicologico possono rompere l’equilibrio ormonale nelle atlete d’élite, essenziale per la periodicità del ciclo. Gli effetti esercizio-indotti sono solitamente reversibili e tendono a ripristinare il rilascio pulsatile di GnRH e delle altre gonadotropine tramite riposo, adeguato apporto calorico e aumento della massa grassa. I numerosi piani pluriennali di allenamento ad elevata intensità, la specializzazione precoce ed i contesti sportivi incentrati sui risultati possono ledere lo sviluppo psicofisico dell’atleta che, soprattutto in età puberale, è molto delicato.
Le richieste prestative sembrano stressare maggiormente le donne rispetto agli uomini, sia fisicamente che psicologicamente. Lo stress psicofisico può essere valutato primariamente attraverso l’intensità d’esercizio. Se questa è di livello moderato, ciò si traduce in un rilascio endogeno di endorfine che contribuisce ad attenuare gli aspetti negativi del ciclo, in particolare in fase mestruale. Le atlete di endurance, le ginnaste e le ballerine sono le sportive più studiate, poichè hanno dimostrato maggiormente un ciclo mestruale alterato.
È stato visto come nelle atlete di endurance, l’esercizio aerobico prolungato induca un innalzamento a breve termine delle concentrazioni di testosterone indipendentemente dalla fase mestruale (O’Leary et al., 2013). È interessante notare come atlete predisposte geneticamente ad una maggior concentrazione endogena di androgeni tendano a praticare sport in cui questo profilo ormonale comporti una buona performance.
Le ginnaste di alto livello invece presentano alti livelli di cortisolo con abolizione del suo ciclo circadiano e conseguente squilibrio all’interno dell’asse ormonale.
In queste attività, inoltre, è auspicabile una bassa percentuale di massa grassa ed il ridotto introito calorico provoca notevoli variazioni nei livelli di adiponectina, leptina e grelina che il solo esercizio fisico non sarebbe in grado di modificare.
Alti livelli di adiponectina, secreta dal tessuto adiposo, coincidono con un maggior stato infiammatorio ed una ridotta disponibilità energetica.
Esercizio intenso, riduzione della massa corporea e della percentuale di massa grassa tendono a modificare i livelli fisiologici di leptina e grelina: questi due ormoni concorrono a regolare la secrezione degli ormoni sessuali e una loro continua variabilità tende a sopprimere il controllo neuroendocrino del ciclo (Ackerman et al., 2012). Nel lungo periodo, la condizione in cui l’assetto ormonale si discosti dai livelli fisiologici può portare ad un menarca ritardato, oligomenorrea, amenorrea o addirittura alla cosiddetta triade dell’atleta donna.
Quest’ultima condizione presenta amenorrea combinata con scarsa disponibilità energetica e densità ossea ridotta. Diversi studi hanno dimostrato come ci siano numerose conseguenze se questa condizione interessa il lungo periodo: aumentato rischio di infortuni muscoloscheletrici, fratture da stress, profilo lipidico anormale, disfunzioni endoteliali, perdita irreversibile di massa ossea, depressione, ansia, scarsa autostima, aumentata mortalità (Weiss Kelly et al., 2016).
Secondo diversi studi, gli sport in cui endurance e composizione corporea predominano c’è un’aumentata predisposizione al rischio. In queste tipologie di attività, le atlete che presentano disturbi mestruali e ridotta massa grassa adottano strategie alimentari per ridurre l’introito calorico, come l’uso abituale di bevande non caloriche e una dieta incentrata su frutta e verdura (Maïmoun et al., 2014). Il disturbo mestruale è associato quindi anche ad un disturbo alimentare.
Per quanto riguarda il metabolismo osseo, sono da valutare sia l’entità del disturbo mestruale, sia il carico iterativo sport specifico (Maïmoun et al., 2016).
Com’è noto, l’esercizio fisico incentiva l’attività degli osteoblasti: questa tipologia di cellule viene stimolata soprattutto nelle attività in cui c’è un maggior stress meccanico (ginnastica); l’attività osteogenica si riduce così in attività come il nuoto e in minor misura nella corsa e nella danza. Barrack et al. (2010) hanno dimostrato come le atlete di endurance (40%) abbiano una densità ossea più bassa rispetto alle ballerine o alle ginnaste (10%). Inoltre, la carenza di estrogeni peggiora la struttura trabecolare delle ossa meno coinvolte nell’attività praticata.
Le donne presentano quindi un profilo ormonale molto sensibile al livello di allenamento, allo stato nutrizionale e psicologico. Una preparazione fisica adeguata ed etica dovrebbe passare per un monitoraggio costante e globale dello stato di salute dell’atleta, specie nelle categorie giovanili.
Scritto da Davide Antoniella con la collaborazione dell’atleta Roberta Bacchetti
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