Covid e antichi stili di vita

Lo stile di vita dei nostri antenati era più idoneo dell’attuale

Durante la pandemia del coronavirus molte immagini sono state riproposte sulla terribile influenza “spagnola” di inizi ‘900, ma l’immaginario collettivo ha spaziato sulle antiche pestilenze del passato che tante vittime hanno mietuto, fino a decimare la popolazione europea.

In realtà il passato remoto era caratterizzato da condizioni igieniche non confrontabili con le attuali, anche per la virulenza dei ceppi oltre che per le agevoli modalità di contagio. Probabilmente i popoli che hanno abitato il bacino del Mediterraneo erano in grado di sviluppare una maggiore immunoresistenza a partire da uno stile di vita più idoneo dell’attuale.

Nello stile di vita non solo va inclusa la maggiore attività fisica connessa al lavoro quotidiano, ma anche lo stile alimentare. Se si escludono le condizioni di stress cui era sottoposto il corpo umano per l’eccessiva onerosità del lavoro in epoca romana, si può senza dubbio focalizzare la composizione della dieta quotidiana in quell’epoca.

Non possiamo in alcun modo tenere in considerazione i luculliani banchetti che la letteratura classica ci propone, poiché, al di là dell’ostentazione del proprio status symbol, nei pasti si esibivano grassi e proteine di varia provenienza, ma prevalentemente di origine animale.

Galeno rappresentato in un affresco. Cripta della Cattedrale di Santa Maria ad Anagni, in provincia di Frosinone (Italia).

Galeno e Dioscoride

Due medici di origine greca ci hanno tramandato due opere impareggiabili: De alimentorum facultatibus e De Materia Medica.

Entrambi attingono ad una “dieta” comune alle popolazioni dell’epoca, certamente molto distante dalla dieta quotidiana di quel obesus Etruscus citato da Catullo (Car. XXXIX, 11) o del pinguis Tyrrhenus di Virgilio (Geo. II, 93) che costituivano il prototipo dell’odierno stile sedentario.

L’uomo della strada si alimentava principalmente di cereali e legumi. Il grado di raffinazione delle farine era alquanto blando, poiché i setacci in epoca imperiale erano realizzati con crine di cavallo e le farine erano ricche di silice che si liberava dalla macine durante il processo di molitura. Tra i legumi (fave, lenticchie, fagioli dall’occhio) erano diffuse delle granaglie, che oggi fanno parte esclusivamente della dieta degli animali, quali l’afaca, l’orobo. Viceversa la cicerchia in origine cibo per gli animali era già divenuto alimento comune per l’uomo.

Tuttavia Galeno ci documenta due ingressi importanti nella dieta romana: il carciofo ed il cedro. Tra la frutta secca dominano le noci, i pinoli, mandorle e pistacchi, mentre completamente sconosciute sembrano le nocciole. Malgrado non fossero giunte dalle Americhe zucche e fagioli, i romani consumavano delle zucche allungate, striate all’esterno e i fagioli dall’occhio.

Il profeta Giona che si riposa all’ombra di una pianta di zucche (mosaico pavimentale del duomo di Aquileia IV sec. d.C.). Fonte: La storia di Giona, Fondazione Aquileia, Ed. Allemandi, Torino 2019.

L’alimentazione era ricca di verdura, frutta, cereali e legumi

Nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Aquileia la forma e le dimensioni di queste antiche zucche sono ben documentate. Galeno riferisce che questi frutti erano utilizzati già fritti in padella o lessati e una delle strategie più diffuse per consumarle anche durante l’inverno era di essiccarli una volta privati dei semi. La provitamina A di cui sono ricche le zucche è liposolubile e questo giustifica la pratica della frittura.

L’essiccazione della frutta fresca, oggi in totale disuso, ci viene documentata per le pere, le quali erano tagliate in sottili rondelle e poi essiccate ([…]”τέμνοντές τε αὐτὰς εἰς κυκλίσκους λεπτοὺς καὶ ξηραίνοντες ἀποτίϑενται”)(VI, 605), per i frutti di bosco come le more e per i piselli. L’essiccazione della frutta pur determinando un perdita di vitamine, conserva intatto il contenuto di fibra e di polifenoli.

Galeno percepisce in modo determinante il ruolo della fibra all’interno dell’apparato digerente, poiché osserva il tempo di transito degli alimenti attraverso l’intestino e, per descrivere la consistenza del bolo alimentare di provenienza vegetale, utilizza frequentemente un aggettivo che la lingua greca annovera: “γλίσχρος”. Questo termine può essere tradotto in lingua italiana come “viscoso” e “gelatinoso” allo stesso tempo, ed è molto efficace per rappresentare il ruolo che la fibra solubile esercita all’interno del tratto digerente.

Analizziamo il collegamento con la pandemia odierna

La pandemia in corso pone degli interrogativi circa la corretta alimentazione, che non si propone né di curare né di prevenire il contagio, quanto di migliorare e potenziare la risposta immunitaria del soggetto.

Gli studi in tempi molto recenti hanno riscoperto il ruolo determinante del microbiota intestinale nella regolazione dell’immunità adattativa e nella modulazione della risposta agli agenti infettanti. Sono note le interazioni tra agenti infettanti e microbiota intestinale, malgrado non siano ancora state accertate tutte le reciproche relazioni a causa dell’elevato numero di specie batteriche presenti nel colon. I modelli validati sulle cavie sembrano adattarsi abbastanza bene all’uomo seppur con le necessarie differenze.

È stato possibile verificare che il virus dell’influenza deprime, ad esempio, le popolazioni di Prevotella a tutto vantaggio di Haemophilus influenzae, Staphylococcus aureus, Moraxella catarrhalis, Streptococcus pneumoniae, Corynebacterium propinquum. Più in generale le infezioni virali determinano un decremento delle popolazioni di Lactobacillus all’interno dello stesso microbiota. (Na Li et. al. 2019).

I rapporti tra infezione polmonare e composizione del microbiota non sono del tutto noti, anche per l’estrema variabilità delle condizioni. Un recente lavoro ha dimostrato che l’infezione indotta del virus dell’influenza su cavie non era in grado da sola di alterare il microbiota intestinale, e che i linfociti migrati dalla mucosa respiratoria in quella intestinale hanno distrutto l’omeostasi del microbiota intestinale attraverso la produzione di chemochine (CCL25 e CCR9).

Malgrado il modello sia stato validato su cavie, vi sono maggiori certezze sul ruolo che l’Interferone γ (IFNγ) svolge all’interno dell’intestino umano nel favorire la produzione di Interleuchine (IL-17A) con funzione pro-infiammatoria a tutto discapito della IL-15 che svolge un ruolo di stimolo nella differenziazione dei linfociti T helper (Th17). Il ruolo dell’IFNγ è stato altresì verificato nella modulazione della risposta immunitaria a livello intestinale favorendo la colonizzazione da Salmonella.

Villi intestinali, microscopio confocale, Ospedale Bambin Gesù, Roma

Le interazioni tra danno polmonare e disbiosi intestinale sono state oggetto di uno studio recente da parte di alcuni ricercatori statunitensi

Nel microbiota umano è presente il Clostridium orbiscindens, un batterio che produce un metabolita specifico: deaminotirosina (DAT). Esso è in grado di modulare la produzione di interferone di tipo 1 che determina un positivo decorso della patologia respiratoria. La deaminotirosina è un composto di degradazione dei flavonoidi e di derivazione del metabolismo degli aminocidi nell’intestino, per questo i flavonoidi sono stati proposti come fitocomposti ad azione immunoregolativa.

Prove effettuate trattando delle cavie con quattro dosi di antibiotici hanno di fatto eliminato il contenuto in DAT nelle feci e più che dimezzato quello contenuti nel siero.

Fig. 1 – Contenuto di deaminotirosina (DAT) nelle feci (sopra) e nel siero (sotto).  Fonte: Steed A. L., Christophi G.P., Kaiko G. E., Sun L., Goodwin V. M., Jain U., Esaulova E., Artyomov M. N., Morales D. J., Holtzmann M. J., Boon A. C. M., Lenschow D. J., Stappenbenck T. S., The microbial metabolite desaminotyrosine protects from influenza through type I interferon, Science 2017.

La risposta immunitaria è proporzionale alla miglior efficenza del microbiota

Il Clostridium orbiscindens sembra essere molto efficiente nella fermentazione dei flavonoidi rispetto ad altre specie batteriche del microbiota quali Clostridium Leptum ed Enterococcus faecalis. Infatti prove di degradazione della quercitina sono state realizzate dai medesimi ricercatori utilizzando sia le singole specie batteriche, che l’intero contenuto cecale delle cavie in esperimento. I dati riportati nelle Fig. 2 e 3 confermano una elevata significatività della migliore risposta immunitaria in cavie che mantengono una migliore efficienza nel microbiota. Le prove sono state effettuate valutando la percentuale di quercitina metabolizzata dalla quale è prodotta la deaminotirosina, quale metabolita.

Fig. 2 – Percentuale di degradazione della quercetina ad opera di alcuni ceppi microbici del microbiota di cavie. Fonte: Steed A. L., Christophi G.P., Kaiko G. E., Sun L., Goodwin V. M., Jain U., Esaulova E., Artyomov M. N., Morales D. J., Holtzmann M. J., Boon A. C. M., Lenschow D. J., Stappenbenck T. S., The microbial metabolite desaminotyrosine protects from influenza through type I interferon, Science 2017.

 

Fig. 3 – Percentuale di sopravvivenza di cavie in funzione del contenuto cecale in deaminotirosina. Fonte: Steed A. L., Christophi G.P., Kaiko G. E., Sun L., Goodwin V. M., Jain U., Esaulova E., Artyomov M. N., Morales D. J., Holtzmann M. J., Boon A. C. M., Lenschow D. J., Stappenbenck T. S., The microbial metabolite desaminotyrosine protects from influenza through type I interferon, Science 2017.

 

Lo studio, malgrado sia stato condotto su cavie, ha evidenziato un nuovo orizzonte nella fisiologia dell’intestino, poiché non è assolutamente del tutto chiarito il metabolismo di molti antiossidanti, per i quali sono noti gli effetti in vitro, ma non in vivo. Al momento attuale oltre al DAT sono noti gli effetti di altri metaboliti, principalmente prodotti a partire da fitocomposti di origine vegetale e che sono sintetizzati nella Fig. 4.

Fig. 4 – Impatto dei metaboliti sul microbiota intestinale. Fonte: Descamps H.C., Herrmann B., Wiredu D., Thaiss C. A., The path toward using microbial metabolites as therapies, Ebiomedicine 2019.

Indolo ubiquitario nel mondo vegetale

Accanto ai ben noti acidi grassi a catena corta (SCFA) ed a catena lunga (LCFA) ritroviamo l’acido folico che in realtà viene assunto tramite i vegetali, gli acidi biliari (BA) secondari derivati dalla trasformazione di quelli primari prodotti dal fegato, l’indolo e la taurina. I derivati dell’indolo (acido 3-indolpropionico e l’aldeide 3-indolpropionica) sono prodotto a partire dal triptofano mediante delle triptofanasi specifiche elaborate da Clostridium sporogenes e da ceppi di Lactobacillus.

L’indolo è particolarmente presente nel mondo vegetale all’interno dei glucosinolati nelle Brassicacee (cavoli) dalla cui demolizione enzimatica si ottengono gli isotiocianati quali il sulforafano e l’indolo-3-carbinolo.

È accertata la capacità che i flavonoidi, i carotenoidi e i derivati dell’indolo hanno di interagire con il recettore per gli idrocarburi arilici (Ahr), localizzato nelle cellule umane, all’interno di un complesso proteico che ne impedisce la trascrizione. L’associazione con l’indolo ed i suoi derivati attiva il recettore Ahr che a sua volta attraversa la membrana nucleare interagendo direttamente con il DNA modulandone la produzione di antiossidanti ad azione specifica.

Foto dell’artista Lynn Karlin

Il ruolo fondamentale dell’Acido Retinoico nella regolazione del Sistema Immunitario

Uno studio molto recente (Grizotte-Lake M. et al. 2018) ha sottolineato il ruolo fondamentale dell’acido retinoico nella regolazione del sistema immunitario. È noto infatti che la provitamina A viene assunta con gli alimenti, ma la sua efficacia è strettamente connessa con la sua conversione in vitamina A (acido retinoico) ad opera delle cellule epiteliali dell’intestino.

L’acido retinoico negli adulti è essenziale per l’espressione della immunità innata ed adattativa, per la proliferazione dei linfociti, differenziazione dei linfociti T helper e la produzione di anticorpi specifici. Alle basse concentrazioni l’acido retinoico induce la formazione di citochine proinfiammatorie (IFNγ) e interleuchine (IL-17A), ma sotto l’azione di IL-6 e IL-15 esso può esercitare un’azione preventiva contro le infezioni intestinali.

Ad alte concentrazioni la vitamina A favorisce la differenziazione delle cellule T in cellule regolatrici Treg che svolgono un ruolo chiave nella tolleranza periferica. Batteri commensali ascrivibili alla classe dei Clostridi sono in grado di modulare la concentrazione di vitamina A attraverso la soppressione dell’espressione dell’enzima retinolo-deidrogenasi 7 da parte delle cellule dell’epitelio intestinale in grado di trasformare la vitamina nella sua forma attiva e cioè nell’acido retinoico.

La mancata o ridotta espressione dell’enzima determina una mancata o ridotta risposta da parte delle cellule linfocitiche innate nella produzione della interleuchina 22 (IL-22). Quest’ultima si rivela indispensabile per la conservazione dell’equilibrio fra le varie specie batteriche del microbiota ed in particolare di alcune specie commensali in grado di prevenire la colonizzazione intestinale di Salmonella Typhimurium.

Al contrario i batteri ascrivibili al phylum dei Protobatteri non sono in grado di modificare l’espressione dell’enzima, con indubbio vantaggio in alcune forme di disbiosi intestinali che eliminano i Clostridi, ma non i Protobatteri.

Conclusioni

L’immunoresistenza del soggetto contagiato può essere dunque potenziata da una corretta dieta nella quale prevalgano alimenti di origine vegetale. Gli Acidi grassi a catena corta (SFA), la quercitina e più in generale i flavonoidi, associati ad un consumo regolare di ortaggi ascrivibile alla famiglia delle Brassiceae, sono in grado di favorire la conservazione di un corretto equilibrio tra i vari phyla intestinali, il cui ruolo di stimolo del sistema immunitario è sempre più definito.

Tessuto adiposo, apparato digerente e sistema immunitario si presentano come un sistema coordinato in grado di interagire con gli agenti biotici.

La vera dieta mediterranea che le popolazioni dell’Italia romana già praticavano è un modello di cui Galeno e Dioscoride ci hanno svelato i risvolti e di cui continueremo ad approfondirne i vari aspetti.

 

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