Un ottimo strumento diagnostico per gestire lo stress
Gli studi sulla variabilità cardiaca (HRV- Heart Rate Variability) sono in letteratura già da parecchi decenni, ma quest’affascinante branca viene ancora sottoutilizzata se si pensa alle sue importanti potenzialità in ambito sia diagnostico che terapeutico.
L’HRV di un soggetto si valuta idealmente misurando le pause tra i QRS di un elettrocardiogramma (il QRS è quel segno elettrico del battito cardiaco che vediamo nei film).
Noi tutti pensiamo che il cuore batta sempre allo stesso ritmo e che questo ritmo sia rigido e dipendente strettamente da ciò che stiamo facendo o vivendo. In realtà, se analizziamo bene le pause tra i battiti, ci accorgiamo che il cuore cambia frequenza istantaneamente anche solo nel lasso di tempo di un respiro.
Quando inspiriamo aumenta il ritorno venoso al cuore e questo è stimolato ad aumentare la sua frequenza per espellerlo maggiormente, mentre quando espiriamo o cantiamo l’afflusso di sangue al cuore diminuisce insieme alla frequenza che cala istantaneamente.
Il cuore ha una sua frequenza di battito intrinseca
Dagli studi sui soggetti sottoposti a trapianto cardiaco sappiamo che il cuore ha una sua frequenza di battito intrinseca data dalle cellule pacemaker del nodo del seno (circa 110 battiti per minuto), ma sappiamo anche che questa frequenza può essere modulata dal sistema ortosimpatico e da quello parasimpatico.
Secondo i primi studi sullo stress di Walter Cannon l’ortosimpatico prevale nelle situazioni combatti/fuggi (nel pericolo di vita – nel fight or flight) mentre il parasimpatico nei momenti di calma e di recupero (rest and digest).
L’HRV è espressione di quanto noi possiamo influenzare il battito cardiaco con tecniche di respirazione o di meditazione. Questa è strettamente correlata al tono parasimpatico e quest’ultimo è un patrimonio con cui noi nasciamo, ma che poi va depauperandosi durante l’invecchiamento (circa 3% annuo). I bambini hanno un’alta variabilità cardiaca mentre negli anziani è molto diminuita.
Cosa fare per arginare la perdita di variabilità cardiaca
Meccanismi per limitare la perdita di HRV sono per quindi le forme di training autogeno basate sul controllo del respiro, ma anche l’esercizio fisico ha una sua utilità (gli atleti ad esempio hanno ampia HRV).
Le situazioni invece che accelerano il deperimento di questa parte “ristrutturante” per l’organismo sono lo stress di qualsiasi genere (fisico, chimico, psichico), una percezione minacciosa dell’ambiente circostante, un’alimentazione povera di micronutrienti, etc.
Molti studi hanno correlato queste situazioni ad una perdita di HRV e quindi con pause tra i battiti che diventano via via più rigide e meno influenzabili dal respiro. Nella società odierna, dove bisogna essere costantemente performanti e in cui viviamo l’ambiente circostante in modo spesso conflittuale, questo meccanismo destruente è molto frequente.
Uno studio americano di riferimento denuncia che un uomo moderno incorre circa in 80 episodi giornalieri di freezing (blocco respiratorio indotto da paura). Negli anni ’60 le media di queste reazioni di pericolo era solamente di venti al giorno. I meccanismi che in questi anni hanno peggiorato questa situazione sono dovuti alla diffusione nelle popolazioni moderne di stati di ipervigilanza ed iposoddisfazione.Ipervigilanza e Iposoddisfazione
L’ipervigilanza è dovuta ai troppi stimoli che l’uomo moderno deve affrontare e nei confronti dei quali si sente spesso inadeguato (cellulari, mail, social network, connessione costante, etc).
L’iposoddisfazione (il raffronto con modelli fisici irreali, con le vite patinate ostentate sui social network, etc) crea invece un sentimento base di tipo distimico che porta il soggetto a gratificarsi in modo alimentare attraverso i comfort food (alimenti ricchi in zuccheri semplici che creano ipertono dopaminergico (la dopamina è l’ormone del piacere).
Questa situazione produce una chiusura dell’uomo nei confronti dei suoi simili e della socialità, lo rende preoccupato, fragile e poco incline alla familiarizzazione coi suoi simili.
La percezione è quella di essere sempre in pericolo
È come se vivessimo un pericolo costante, latente ed impalpabile che ci rende refrattari a chi ci circonda. L’organismo scatena così reazioni che la natura aveva destinato a situazioni con un reale pericolo di vita. Inutile dire quanto questo possa essere invalidante se pensiamo alle situazioni legate ai gruppi di lavoro o alle dinamiche che si sviluppano negli uffici e nelle aziende.
Inquadrare queste situazioni ed intervenire di conseguenza potrebbe portare un miglioramento sensibile del vissuto del soggetto e delle sue capacità cognitivo/relazionali nonché della sua performance a 360°.
Valutare lo stress dei soggetti è sempre stato il pallino dei campi di studio legati all’alta prestazione come la Medicina Spaziale o la Medicina dello Sport.
I primi utilizzi dei sistemi di biofeedback per la valutazione dell’HRV avevano questo indirizzo: intercettare lo stato di stress dell’atleta e prevenire le fasi di superallenamento.
Ma molto di più può essere fatto oggigiorno. Questi strumenti sono diventati negli anni sempre più portatili tanto da poter essere persino installati con delle APP anche nei nostri smartphone così da rendere l’analisi dell’HRV una modalità assolutamente fruibile, utilizzabile nei vari momenti della giornata di chiunque.
Ognuno di noi può utilizzare l’HRV
Fare esercizi di respirazione con un sensore che invia al soggetto, respiro per respiro, un feedback sulla corretta esecuzione o meno degli atti respiratori può essere un aiuto prezioso in tutti i frangenti della vita dell’uomo moderno.
Abbiamo detto prima che noi viviamo costantemente respirando con delle pause. I soggetti aggressivi per esempio bloccano spesso il respiro in ispirazione come se si preparassero ad attaccare un nemico.
I soggetti al contrario depressi tendono ad avere pause in espirazione come se il solo respirare costasse fatica e dovesse essere centellinato. In questo modo noi ci abituiamo al nostro schema di respiro e non percepiamo più questi blocchi.
Lavorare sull’allenamento all’HRV ci costringe a fare respiri circolari cui non siamo abituati e che ad un neofita possono anche creare sintomatologia varia come fatica ai muscoli respiratori accessori, giramenti di testa, formicolii etc. Una volta che acquisiamo pratica col respiro circolare diventiamo più bravi a percepire questi momenti di blocco e possiamo immediatamente interrompere le reazioni di stress instauratesi.
Un cuscinetto vagale ci aiuta a prevenire i blocchi
Allenare l’HRV coi sistemi di biofeedback può portare a creare una sorta di “cuscinetto vagale” che impedisce a queste reazioni di instaurarsi durante la giornata. Se poi gli esercizi continuano si può accedere al campo della performance.
Ci sono esercizi per bloccare il senso della fame, altri per aumentare il calore corporeo o la forza in un determinato distretto corporeo.
Possono essere utilizzate tecniche per minimizzare la percezione degli stimoli nocicettivi legati al dolore e molto altro.
Lavorare con il biofeedback può fornire quindi una marcia in più e risolvere molti dei nostri problemi a monte prima che esitino in stati di burnout clinicamente manifesti.
Tuttavia non bisogna intendere queste tecniche come una panacea ottenibile con 3-4 sessioni di allenamento.
Come tutti gli adattamenti al nostro organismo ci vuole dedizione e costanza per avere i risultati migliori. Le implicazioni terapeutiche e potenziative di questi device sono quindi enormi, ma serve la pratica.
Alla prossima.
Photo credits selfcoherence.com, HeartMath.org, Alex Morgan da Pinterest.com. experimentsinwellness.com